“La filosofia deve tornare a occuparsi della polis”

Donatella Di Cesare alla trentesima edizione della Fiera del libro in Istria

Testo di Luisa SORBONE • Fotografie Sa(n)jam knjige u Istri

02.12.2024.

“Le carat­te­ris­tic­he del feno­me­no del­la migra­zi­one che sti­amo viven­do non sono para­go­na­bi­li a quel­li del passa­to. Oggi vivi­amo in un mon­do di Stati nazi­ona­li, sis­te­mi poli­ti­ci che si fon­da­no sul con­cet­to sta­ti­co di nazi­one (ter­mi­ne che deri­va da “nas­ci­ta”), di Stato (che “sta”) e di cit­ta­di­nan­za in sen­so ter­ri­to­ri­ale. Stiamo per­den­do la dimen­si­one del­la polis e ques­to è il pri­mo passo ver­so il totalitarismo”.

Donatella Di Cesare – filo­so­fa, edi­to­ri­alis­ta e sag­gis­ta ita­li­ana, pro­fe­sso­re ordi­na­rio di filo­so­fia teore­ti­ca all’Università “La Sapienza” di Roma – alla tren­te­si­ma edi­zi­one del­la Fiera del libro in Istria, Sa(n)jam knji­ge u Istri, ha trat­ta­to di temi urgen­ti e impor­tan­ti- immi­gra­zi­one, inte­gra­zi­one, demo­cra­zia, con­fi­ni, geogra­fi­ci e cul­tu­ra­li – davan­ti a un pub­bli­co numeroso.

Sabato 30 novem­bre, la pre­sen­ta­zi­one del libro “Stranieri resi­den­ti” (Bollati Boringhieri 2017) e la ver­si­one in cro­ato “Domaći stran­ci” (DAF), con il rela­to­re Andrea Matošević, la tra­dut­tri­ce del libro Katarina Penđer e l’in­ter­pre­te Iva Grgić Maroević. Domenica 1 dicem­bre il secon­do appun­ta­men­to a “Colazione con l’a­uto­re”, con Aljoša Pužar, anco­ra affi­an­ca­to da Iva Grgić Maroević.

“Stranieri residenti”

“Ho sen­ti­to l’e­si­gen­za di scri­ve­re un libro non solo di filo­so­fia ma anc­he poli­ti­co, con l’in­ten­zi­one di col­ma­re una lacu­na del­l’at­tu­ale poli­ti­ca”. “Stranieri resi­den­ti”, “Domaći stran­ci” si inse­ris­ce nel dibat­ti­to sul­la glo­ba­li­zza­zi­one, la cri­si dei con­fi­ni nazi­ona­li e il dirit­to d’asilo, e pro­po­ne una pro­fon­da rifle­ssi­one del­l’a­utri­ce sul­l’in­clu­si­one e sul­la dig­nità del­le per­so­ne, indi­pen­den­te­men­te dal­la loro ori­gi­ne o nazi­ona­lità, e su come le soci­età moder­ne ges­tis­co­no l’in­te­gra­zi­one di chi non è con­si­de­ra­to “nati­vo” o “appar­te­nen­te” a una deter­mi­na­ta nazi­one. Alla per­ce­zi­one del­lo stra­ni­ero come minac­cia, Donatella Di Cesare con­trap­po­ne il valo­re del­la plu­ra­lità e del­la convi­ven­za. Quella di “stra­ni­ero resi­den­te” viene vis­ta come una con­di­zi­one para­do­ssa­le: quel­la di chi vive quoti­di­ana­men­te in un paese e par­te­ci­pa alla vita soci­ale, ma con­ti­nua a esse­re vis­to come un “altro”, sen­za piena appar­te­nen­za. Una situ­azi­one di dop­pia esclu­si­one che non è solo lega­le, ma che coinvol­ge anc­he il piano cul­tu­ra­le e poli­ti­co, con gli immi­gra­ti cos­tret­ti a vive­re in una sor­ta di lim­bo giuri­di­co e sociale.

Lo straniero tra Atene, Roma e Gerusalemme

Roma, Atene e Gerusalemme sono des­crit­te nel libro come arc­he­ti­pi sto­ri­ci che incar­na­no model­li di cit­ta­di­nan­za e di rela­zi­one con lo stra­ni­ero. Atene, con la sua visi­one limi­ta­ta del­la cit­ta­di­nan­za, rap­pre­sen­ta il model­lo di una comu­nità chi­usa, dove solo chi appar­ti­ene a un deter­mi­na­to grup­po può gode­re dei dirit­ti poli­ti­ci e civi­li. La Roma impe­ri­ale, inve­ce, con la sua cit­ta­di­nan­za este­sa, sim­bo­leg­gia un model­lo più aper­to, ma che non eli­mi­na del tut­to le gerar­c­hie e le dis­tin­zi­oni tra chi è den­tro e chi è fuori dal­la comu­nità. Entrambe  si fon­da­no su un con­cet­to di stra­ni­ero che è lega­to alla divi­si­one tra noi e loro, basa­to su cri­te­ri etni­ci, poli­ti­ci o soci­ali. Gerusalemme, infi­ne, è la cit­tà sim­bo­lo del­le fron­ti­ere invi­si­bi­li, è una zona di fron­ti­era, dove una per­so­na può esse­re cit­ta­di­na in sen­so lega­le, ma, in sen­so soci­ale ed esis­ten­zi­ale, può esse­re trat­ta­ta come estra­nea. Un luogo che tut­ti abi­ta­no nel seg­no del­la separazione.

Democrazia e anarchia

“Chi fug­ge dal­la guer­ra e dal­la mise­ria chi­ede non tan­to il dirit­to di muover­si, quan­to di ave­re una comu­nità che lo accol­ga e la comu­nità demo­cra­ti­ca deve esse­re nece­ssa­ri­amen­te aper­ta e non può esse­re basa­ta su cri­te­ri etni­ci”. E pro­prio sul tema del­la demo­cra­zia è incen­tra­to il suo ulti­mo libro “Democrazia e anar­c­hia”, frut­to di una ricer­ca dura­ta quat­tro anni. “Il tema del­la demo­cra­zia è enor­me e per appro­fon­dir­lo ho fat­to un per­cor­so “di sca­vo” nel­la tra­di­zi­one gre­ca ritra­du­cen­do i tes­ti cla­ssi­ci. “Demos” sig­ni­fi­ca popo­lo, “kra­tos” è pote­re, nel sen­so di capa­cità. La chi­ami­amo demo­cra­zia e non “demar­c­hia”, come monar­c­hia o oli­gar­c­hia, per­c­hé la demo­cra­zia met­te in dis­cu­ssi­one il coman­do di quel­li che sta­va­no lì, fin dall’inizio”.

In ques­to sen­so, secon­do la tesi di De Cesare, demo­cra­zia e anar­c­hia sono con­cet­ti che si inter­se­ca­no, per­c­hé entram­be espre­ssi­oni di un modo di pen­sa­re alla poli­ti­ca come a un eser­ci­zio di par­te­ci­pa­zi­one e auto­de­ter­mi­na­zi­one che rifi­uta le strut­tu­re auto­ri­ta­rie e gerarchiche.

L’Europa dei confini

“L’Europa è la patria dei dirit­ti uma­ni, dell’Illuminismo, non solo del fas­ci­smo. Ma nell’Europa in cui vivi­amo oggi ci tro­vi­amo ad affron­ta­re la poli­ti­ca dei con­fi­ni chi­usi, del­lo Stato nazi­ona­le.  La glo­ba­li­zza­zi­one eco­no­mi­ca, inve­ce di por­ta­re a un migli­ora­men­to del­le con­di­zi­oni di vita, ha accen­tu­ato le disu­gu­agli­an­ze inter­ne tra Stati e ha con­tri­bu­ito al raf­for­za­men­to di movi­men­ti popu­lis­ti e nazi­ona­lis­ti. Questa Europa dovreb­be riap­pro­pri­ar­si di una pros­pet­ti­va eti­ca. Credo che tut­ti dovrem­mo sen­tir­ci res­pon­sa­bi­li di quan­to acca­de nel Mediterraneo, il mare del­le gran­di civil­tà. Anche per ques­to, occa­si­oni di dialo­go come quel­la di oggi sono indispensabili”.

L’Italia del sovranismo e delle diversità

“L’Italia non ha fat­to i con­ti con la sua sto­ria, soprat­tut­to colo­ni­ale. Io pro­ven­go dal­la peri­fe­ria di Roma, quel­la des­crit­ta da Pasolini in Ragazzi di vita (ho avu­to la for­tu­na di ave­re tra i miei maes­tri anc­he Gianni Rodari), ricor­do quan­to i migran­ti fosse­ro allo­ra dis­cri­mi­na­ti ed è anco­ra così. E ques­to è assur­do per­c­hé l’Italia è pro­prio il paese del­le diver­sità. Ma men­tre allo­ra c’e­ra gran­de soli­da­ri­età tra gli ope­rai del­le peri­fe­rie e le sedi dei par­ti­ti era­no sem­pre aper­te, oggi tut­to è cam­bi­ato e in quel­le peri­fe­rie si vota la des­tra iper­na­zi­ona­lis­ta.  Molte orga­ni­zza­zi­oni reli­gi­ose, in Italia e in altri paesi euro­pei, si sono schi­era­te con­tro la deri­va sovra­nis­ta. C’è sta­ta gran­de mobi­li­ta­zi­one del mon­do cat­to­li­co e pro­tes­tan­te, ho rice­vu­to mol­te let­te­re. Ma mi tro­vo a dire no a ques­to approc­cio ecu­me­ni­cis­ta, così come a quel­lo del sin­go­lo, per­c­hé il pro­ble­ma del­la ges­ti­one del­l’im­mi­gra­zi­one non può esse­re ridot­to a un sem­pli­ce atto di carità. Il pro­ble­ma è poli­ti­co. Credo che i par­ti­ti all’op­po­si­zi­one non abbi­ano capi­to il pro­ble­ma, è man­ca­ta la cul­tu­ra per com­pren­de­re il disa­gio e loro ne sono gran­de­men­te responsabili”.

Il ruolo della filosofia

“È tem­po che la filo­so­fia ritor­ni nel­la polis. I filo­so­fi han­no sem­pre avu­to un rap­por­to dif­fi­ci­le con la cit­tà, a par­ti­re da Socrate, che diven­ne moles­to per la soci­età e ven­ne con­dan­na­to a mor­te. Platone seguì la stra­da del­l’ac­ca­de­mia, iso­lan­do­si”. Ma è nece­ssa­rio che i filo­so­fi – ques­to il messag­gio – rico­min­ci­no a dialo­ga­re con la gente.

“Finora solo alcu­ni, a par­ti­re dal ‘900, si sono occu­pa­ti del pro­ble­ma, ad ecce­zi­one di Hannah Arendt, che nel suo sag­gio “Noi rifu­gi­ati” rac­con­ta la sua per­so­na­le espe­ri­en­za di fuga dal­la Germania nazis­ta per arri­va­re a New York e viver­ci da apo­li­de per dieci anni. Per ques­to ho scrit­to libri come “Stranieri resi­den­ti”, nato dopo la cri­si migra­to­ria del 2015. Oggi abbi­amo bisog­no di nuovi appor­ti e di una nuova poli­ti­ca dell’abitare”.

Donatella Di Cesare è pro­fe­sso­re ordi­na­rio di filo­so­fia teore­ti­ca all’Università “La Sapienza” di Roma. I suoi libri sono tra­dot­ti in otto lin­gue. La sua for­ma­zi­one acca­de­mi­ca l’ha por­ta­ta pri­ma all’Università di Tubinga e poi a quel­la di Heidelberg, dove è sta­ta alli­eva di Hans-Georg Gadamer. Negli anni, ha appro­fon­di­to tema­tic­he come le res­pon­sa­bi­lità del­la filo­so­fia ris­pet­to all’Olocausto, la violen­za estre­ma e il ter­ro­re nel­l’e­ra del­la glo­ba­li­zza­zi­one, con un focus par­ti­co­la­re sul­la sovra­nità, l’i­den­tità e l’es­tra­ne­ità. È mem­bro di nume­ro­si comi­ta­ti sci­en­ti­fi­ci, tra cui la Internationale Wittgenstein-Gesellschaft e l’Associazione Italiana Walter Benjamin. Dal 2016 diri­ge la col­la­na “Filosofia per il XXI seco­lo” per la casa edi­tri­ce Mimesis e dal 2018 è par­te del con­si­glio sci­en­ti­fi­co del CIR Onlus, che si occu­pa di rifu­gi­ati. Collabora con L’Espresso, Il Manifesto, La Stampa e Il Fatto Quotidiano. È conos­ci­uta per il suo impeg­no nel­la denun­cia del­l’an­ti­se­mi­ti­smo, tema che ha affron­ta­to con par­ti­co­la­re atten­zi­one nei con­fron­ti di Martin Heidegger e dei suoi “Quaderni Neri”. I suoi lavo­ri su Heidegger, in par­ti­co­la­re il libro “Heidegger e gli ebrei: I quader­ni neri”, han­no sus­ci­ta­to ampi dibat­ti­ti tra filo­so­fi e intellettuali.