“La filosofia deve tornare a occuparsi della polis”
Donatella Di Cesare alla trentesima edizione della Fiera del libro in Istria
Testo di Luisa SORBONE • Fotografie Sa(n)jam knjige u Istri
“Le caratteristiche del fenomeno della migrazione che stiamo vivendo non sono paragonabili a quelli del passato. Oggi viviamo in un mondo di Stati nazionali, sistemi politici che si fondano sul concetto statico di nazione (termine che deriva da “nascita”), di Stato (che “sta”) e di cittadinanza in senso territoriale. Stiamo perdendo la dimensione della polis e questo è il primo passo verso il totalitarismo”.
Donatella Di Cesare – filosofa, editorialista e saggista italiana, professore ordinario di filosofia teoretica all’Università “La Sapienza” di Roma – alla trentesima edizione della Fiera del libro in Istria, Sa(n)jam knjige u Istri, ha trattato di temi urgenti e importanti- immigrazione, integrazione, democrazia, confini, geografici e culturali – davanti a un pubblico numeroso.
Sabato 30 novembre, la presentazione del libro “Stranieri residenti” (Bollati Boringhieri 2017) e la versione in croato “Domaći stranci” (DAF), con il relatore Andrea Matošević, la traduttrice del libro Katarina Penđer e l’interprete Iva Grgić Maroević. Domenica 1 dicembre il secondo appuntamento a “Colazione con l’autore”, con Aljoša Pužar, ancora affiancato da Iva Grgić Maroević.
“Stranieri residenti”
“Ho sentito l’esigenza di scrivere un libro non solo di filosofia ma anche politico, con l’intenzione di colmare una lacuna dell’attuale politica”. “Stranieri residenti”, “Domaći stranci” si inserisce nel dibattito sulla globalizzazione, la crisi dei confini nazionali e il diritto d’asilo, e propone una profonda riflessione dell’autrice sull’inclusione e sulla dignità delle persone, indipendentemente dalla loro origine o nazionalità, e su come le società moderne gestiscono l’integrazione di chi non è considerato “nativo” o “appartenente” a una determinata nazione. Alla percezione dello straniero come minaccia, Donatella Di Cesare contrappone il valore della pluralità e della convivenza. Quella di “straniero residente” viene vista come una condizione paradossale: quella di chi vive quotidianamente in un paese e partecipa alla vita sociale, ma continua a essere visto come un “altro”, senza piena appartenenza. Una situazione di doppia esclusione che non è solo legale, ma che coinvolge anche il piano culturale e politico, con gli immigrati costretti a vivere in una sorta di limbo giuridico e sociale.
Lo straniero tra Atene, Roma e Gerusalemme
Roma, Atene e Gerusalemme sono descritte nel libro come archetipi storici che incarnano modelli di cittadinanza e di relazione con lo straniero. Atene, con la sua visione limitata della cittadinanza, rappresenta il modello di una comunità chiusa, dove solo chi appartiene a un determinato gruppo può godere dei diritti politici e civili. La Roma imperiale, invece, con la sua cittadinanza estesa, simboleggia un modello più aperto, ma che non elimina del tutto le gerarchie e le distinzioni tra chi è dentro e chi è fuori dalla comunità. Entrambe si fondano su un concetto di straniero che è legato alla divisione tra noi e loro, basato su criteri etnici, politici o sociali. Gerusalemme, infine, è la città simbolo delle frontiere invisibili, è una zona di frontiera, dove una persona può essere cittadina in senso legale, ma, in senso sociale ed esistenziale, può essere trattata come estranea. Un luogo che tutti abitano nel segno della separazione.
Democrazia e anarchia
“Chi fugge dalla guerra e dalla miseria chiede non tanto il diritto di muoversi, quanto di avere una comunità che lo accolga e la comunità democratica deve essere necessariamente aperta e non può essere basata su criteri etnici”. E proprio sul tema della democrazia è incentrato il suo ultimo libro “Democrazia e anarchia”, frutto di una ricerca durata quattro anni. “Il tema della democrazia è enorme e per approfondirlo ho fatto un percorso “di scavo” nella tradizione greca ritraducendo i testi classici. “Demos” significa popolo, “kratos” è potere, nel senso di capacità. La chiamiamo democrazia e non “demarchia”, come monarchia o oligarchia, perché la democrazia mette in discussione il comando di quelli che stavano lì, fin dall’inizio”.
In questo senso, secondo la tesi di De Cesare, democrazia e anarchia sono concetti che si intersecano, perché entrambe espressioni di un modo di pensare alla politica come a un esercizio di partecipazione e autodeterminazione che rifiuta le strutture autoritarie e gerarchiche.
L’Europa dei confini
“L’Europa è la patria dei diritti umani, dell’Illuminismo, non solo del fascismo. Ma nell’Europa in cui viviamo oggi ci troviamo ad affrontare la politica dei confini chiusi, dello Stato nazionale. La globalizzazione economica, invece di portare a un miglioramento delle condizioni di vita, ha accentuato le disuguaglianze interne tra Stati e ha contribuito al rafforzamento di movimenti populisti e nazionalisti. Questa Europa dovrebbe riappropriarsi di una prospettiva etica. Credo che tutti dovremmo sentirci responsabili di quanto accade nel Mediterraneo, il mare delle grandi civiltà. Anche per questo, occasioni di dialogo come quella di oggi sono indispensabili”.
L’Italia del sovranismo e delle diversità
“L’Italia non ha fatto i conti con la sua storia, soprattutto coloniale. Io provengo dalla periferia di Roma, quella descritta da Pasolini in Ragazzi di vita (ho avuto la fortuna di avere tra i miei maestri anche Gianni Rodari), ricordo quanto i migranti fossero allora discriminati ed è ancora così. E questo è assurdo perché l’Italia è proprio il paese delle diversità. Ma mentre allora c’era grande solidarietà tra gli operai delle periferie e le sedi dei partiti erano sempre aperte, oggi tutto è cambiato e in quelle periferie si vota la destra ipernazionalista. Molte organizzazioni religiose, in Italia e in altri paesi europei, si sono schierate contro la deriva sovranista. C’è stata grande mobilitazione del mondo cattolico e protestante, ho ricevuto molte lettere. Ma mi trovo a dire no a questo approccio ecumenicista, così come a quello del singolo, perché il problema della gestione dell’immigrazione non può essere ridotto a un semplice atto di carità. Il problema è politico. Credo che i partiti all’opposizione non abbiano capito il problema, è mancata la cultura per comprendere il disagio e loro ne sono grandemente responsabili”.
Il ruolo della filosofia
“È tempo che la filosofia ritorni nella polis. I filosofi hanno sempre avuto un rapporto difficile con la città, a partire da Socrate, che divenne molesto per la società e venne condannato a morte. Platone seguì la strada dell’accademia, isolandosi”. Ma è necessario che i filosofi – questo il messaggio – ricomincino a dialogare con la gente.
“Finora solo alcuni, a partire dal ‘900, si sono occupati del problema, ad eccezione di Hannah Arendt, che nel suo saggio “Noi rifugiati” racconta la sua personale esperienza di fuga dalla Germania nazista per arrivare a New York e viverci da apolide per dieci anni. Per questo ho scritto libri come “Stranieri residenti”, nato dopo la crisi migratoria del 2015. Oggi abbiamo bisogno di nuovi apporti e di una nuova politica dell’abitare”.
Donatella Di Cesare è professore ordinario di filosofia teoretica all’Università “La Sapienza” di Roma. I suoi libri sono tradotti in otto lingue. La sua formazione accademica l’ha portata prima all’Università di Tubinga e poi a quella di Heidelberg, dove è stata allieva di Hans-Georg Gadamer. Negli anni, ha approfondito tematiche come le responsabilità della filosofia rispetto all’Olocausto, la violenza estrema e il terrore nell’era della globalizzazione, con un focus particolare sulla sovranità, l’identità e l’estraneità. È membro di numerosi comitati scientifici, tra cui la Internationale Wittgenstein-Gesellschaft e l’Associazione Italiana Walter Benjamin. Dal 2016 dirige la collana “Filosofia per il XXI secolo” per la casa editrice Mimesis e dal 2018 è parte del consiglio scientifico del CIR Onlus, che si occupa di rifugiati. Collabora con L’Espresso, Il Manifesto, La Stampa e Il Fatto Quotidiano. È conosciuta per il suo impegno nella denuncia dell’antisemitismo, tema che ha affrontato con particolare attenzione nei confronti di Martin Heidegger e dei suoi “Quaderni Neri”. I suoi lavori su Heidegger, in particolare il libro “Heidegger e gli ebrei: I quaderni neri”, hanno suscitato ampi dibattiti tra filosofi e intellettuali.