La celebre scrittrice italiana alla trentunesima edizione della Fiera del libro in Istria

“Caro Pier Paolo”: il dialogo intimo di Dacia Maraini con Pier Paolo Pasolini

Testo di Luisa SORBONE • Fotografie dall’archivio di Sa(n)jam knjige u Istri

05.12.2025.

A metà stra­da tra il memo­ir e l’epistolario, “Caro Pier Paolo” rac­co­glie tren­ta­set­te let­te­re che Dacia Maraini rivol­ge ide­al­men­te all’a­mi­co Pier Paolo Pasolini. Pubblicato in Italia da Neri Pozza nel­la col­la­na Bloom, nei pri­mi mesi del 2022, è da poco usci­to in ver­si­one cro­ata per Disput, con la tra­du­zi­one di Ita Kovač, nel cinqu­an­te­na­rio del­la mor­te del­lo scrit­to­re. L’autrice, appla­udi­ti­ssi­ma dal pub­bli­co in sala, è sta­ta pro­ta­go­nis­ta del­la sera­ta let­te­ra­ria di giovedì 4 dicem­bre alla Fiera del libro in Istria-Sanjam knji­ge u Istri. L’incontro era con­dot­to da Andrea Matošević, affi­an­ca­to dal­la tra­dut­tri­ce Erika Koporčić Sovilj.

Il libro non vuole esse­re il rac­con­to di verità defi­ni­ti­ve, come ha pre­ci­sa­to Maraini, piut­tos­to la rievo­ca­zi­one di memo­rie per­so­na­li che aiuta­no a com­pren­de­re meglio chi era Pasolini. Una nar­ra­zi­one per mol­ti trat­ti poeti­ca, che met­te insi­eme memo­ria e sog­no, ricor­do biogra­fi­co, aned­do­ti e riflessioni.

Come nas­ce il libro

Una scel­ta nar­ra­ti­va, quel­la del dialo­go, che ha con­sen­ti­to toni fami­li­ari e con­fi­den­zi­ali. Potrebbe – chi­edo – ave­re a che fare con il Giappone, Paese in cui Dacia Maraini ha vissu­to e in cui i defun­ti  sono pre­sen­ze posi­ti­ve che accom­pag­na­no la vita?  “Ho vissu­to otto anni in Giappone – spi­ega – e sono sta­ti anni impor­tan­ti. Il rap­por­to che i giap­po­ne­si han­no con il mon­do dei mor­ti è mol­to vita­le: pen­si­amo al teatro Noh, basa­to sul dialo­go tra i vivi e i mor­ti. Si, effet­ti­va­men­te ci può esse­re ques­ta com­po­nen­te, anc­he se il libro è nato da un sog­no. Ho sog­na­to che Pier Paolo cam­mi­na­va sul­la mia ter­ra­zza. Sono sali­ta. Mi ha vis­to e mi ha det­to “Voglio fare un film”. “Racconta” gli ho ris­pos­to. Stava ini­zi­an­do a rac­con­ta­re quan­do dietro di me ho avver­ti­to del­le voci, era­no i suoi tec­ni­ci, che mi dice­va­no che era mor­to e che non avreb­be potu­to fare nessun film. Per me era vivo. Ma è spa­ri­to. In gene­re i sog­ni si dimen­ti­ca­no, ma ques­to mi è rimas­to mol­to impre­sso e mi ha fat­to capi­re che ave­va­mo cose da ricor­da­re insi­eme. Da quel momen­to ho deci­so che vole­vo par­la­re con lui”.

Pubblico e privato

Un rap­por­to uma­no e intel­let­tu­ale com­ple­sso, quel­lo tra l’a­utri­ce e lo scrit­to­re. Un lega­me fat­to di incon­tri, viag­gi, conver­sa­zi­oni, ma anc­he di dif­fe­ren­ze nel­l’ap­proc­cio alla real­tà – lui com­pren­de­va coi sen­si, lei con la razi­ona­lità – e di ris­pet­to­si silen­zi. Ne esce un Pasolini per mol­ti ver­si ine­di­to, la per­so­na e non il per­so­nag­gio, rac­con­ta­to nel­la sua quoti­di­anità: iro­ni­co, gene­ro­so con agli ami­ci e dol­ce nel pri­va­to. Sullo sfon­do, figu­re di intel­let­tu­ali del Novecento che per la cul­tu­ra ita­li­ana han­no rap­pre­sen­ta­to un mon­do, come Elsa Morante, Dario Bellezza, Giorgio Bassani, Goffredo Parise, Natalia Ginzburg, ma anc­he Anna Magnani, Piera Degli Esposti, Marcello Mastroianni, Federico Fellini, Bernardo Bertolucci. Le pagi­ne che des­cri­vo­no i viag­gi in Africa, frequ­en­ti duran­te il peri­odo nata­li­zio insi­eme ad Alberto Moravia e Maria Callas, sono quel­le cen­tra­li: non solo per­c­hé ci rac­con­ta­no come in un film le imma­gi­ni del­le gior­na­te e del­le tra­sfer­te, ma soprat­tut­to per­c­hé rive­la­no le dina­mic­he di gran­de empa­tia che si for­ma­va­no all’in­ter­no del grup­po. Ad esse­re nar­ra­te sono le rela­zi­oni, gli aned­do­ti, i modi di essere.“Tra Callas e Pier Paolo – pre­ci­sa l’a­utri­ce – c’è sta­to un rap­por­to di amo­re vero, anc­he se non ero­ti­co, lo ste­sso è sta­to con Silvana Mauri” (ndr: gior­na­lis­ta scrit­tri­ce, redat­tri­ce alla casa edi­tri­ce Bompiani).

Pasolini pro­fe­ti­co?

E accan­to al ricor­do non man­ca l’analisi. Maraini non si limi­ta a rievo­ca­re, ma inter­ro­ga Pasolini alla luce del­le odi­er­ne vicen­de soci­ali e poli­tic­he: sul­la cri­si del­la cul­tu­ra, sul con­for­mi­smo con­su­mis­ti­co, sul ruolo pub­bli­co dell’intellettuale, chi­eden­do­si a sua vol­ta se cer­te intu­izi­oni paso­li­ni­ane non siano oggi para­do­ssal­men­te attu­ali. Il dis­cor­so cade ine­vi­ta­bil­men­te sul­l’at­tu­alità. Su alcu­ni quoti­di­ani ita­li­ani, la scrit­tri­ce ha recen­te­men­te pre­so posi­zi­one nei con­fron­ti del pro­li­fe­ra­re del­l’in­tel­li­gen­za arti­fi­ci­ale e in gene­ra­le sul mon­do dei soci­al. “L’intelligenza arti­fi­ci­ale è uno stru­men­to e come tale va uti­li­zza­to, come acca­de con l’e­ner­gia ato­mi­ca: si può ucci­de­re o si può pro­dur­re ener­gia. È uno stru­men­to impor­tan­te, pen­si­amo alle sue appli­ca­zi­oni in cam­po medi­co e sci­en­ti­fi­co, è una gran­de for­za e non va demo­ni­zza­to. Il peri­co­lo è diven­tar­ne schi­avi. Vado spe­sso nel­le scu­ole, osser­vo che i raga­zzi non leg­go­no più, non van­no al cine­ma o a teatro, tut­to si ridu­ce ai soci­al. Questo non va bene, è una dipen­den­za che svu­ota e che deres­pon­sa­bi­li­zza. Così i temi, i pro­ble­mi di mate­ma­ti­ca o le ricer­c­he non si fan­no più usan­do la tes­ta. Non ce l’ho con lo stru­men­to ma con l’u­so che se ne fa”.

Sempre a pro­po­si­to di soci­al, tro­vo tra le pagi­ne Facebook un grup­po pub­bli­co dal tito­lo “Dacia Maraini pre­si­den­te del­la Repubblica”. E la doman­da, come si suol dire, sor­ge spon­ta­nea. “Mi han­no pro­pos­to mol­te vol­te – ris­pon­de – di met­ter­mi in poli­ti­ca, chi­eden­do­mi di esse­re asse­sso­re alla cul­tu­ra a Venezia o a Palermo. Penso che ci voglia com­pe­ten­za per fare qualunque cose. La mia vita è fat­ta di let­te­ra­tu­ra, ho idee poli­tic­he ma non una com­pe­ten­za poli­ti­ca. Credo che sarei dav­ve­ro nega­ta. La poli­ti­ca atti­va come mec­ca­ni­smo di rap­por­to tra le per­so­ne per me res­ta un mis­te­ro totale”.

Pasolini e il sacro

Ritorniamo al libro. E alle emo­zi­oni del rac­con­to. C’è mol­ta dis­cre­zi­one nel rive­la­re il non conos­ci­uto dei risvol­ti uma­ni e per­so­na­li, anc­he nei det­ta­gli. È un rac­con­ta­re per­va­so di sti­ma e affet­to, che non omet­te di sof­fer­mar­si sul pro­fi­lo psi­co­lo­gi­co del­l’a­mi­co e sul­le sue fra­gi­lità. Persino sugli aspet­ti più inti­mi e pro­fon­di, a par­ti­re dal lega­me tota­li­zzan­te con la madre, for­se all’o­ri­gi­ne del­l’im­po­ssi­bi­lità di ave­re un rap­por­to fisi­co con le don­ne ama­te, come Maria Callas e Silvana Mauri. “Purché il sesso rima­ne­sse fuori dal­la por­ta sacra del tuo cor­po (…) la vici­nan­za fem­mi­ni­le si tra­sfor­ma­va, sot­to il tuo sgu­ar­do allar­ma­to, sem­pre e per impron­ta infan­ti­le, in un cor­po materno”.

La mor­te di Pasolini, che ebbe un for­te impat­to sugli ami­ci e che influì sul­la per­ce­zi­one pub­bli­ca del­l’in­te­ra ope­ra paso­li­ni­ana, per l’a­utri­ce è una feri­ta anco­ra aperta.“Ti scri­vo, caro Pier Paolo, per­c­hé non ries­co a smet­te­re di par­lar­ti”. Un capi­to­lo, quel­lo dedi­ca­to alla mor­te, trat­ta­to con gran­de sen­si­bi­lità, con deli­ca­te­zza e anc­he con dolore.“Forse non sapre­mo mai come anda­ro­no le cose, ma non possi­amo smet­te­re di chi­eder­lo”. Parole che non vogli­ono risol­ve­re mis­te­ri o dare ris­pos­te, ma che rive­la­no lo smar­ri­men­to per­so­na­le del­l’a­utri­ce di fron­te alla per­di­ta di un ami­co che “sfi­da­va la mor­te ma ama­va la vita” e che met­te­va fine ad un pre­zi­oso con­fron­to intellettuale.

“Un ere­ti­co che non può esi­mer­si dal dialo­ga­re con il sacro” lo han­no defi­ni­to alcu­ni cri­ti­ci, for­se rife­ren­do­si a Il Vangelo secon­do Matteo, che res­ta uno dei suoi capo­la­vo­ri come regis­ta. “Lui non era un cat­to­li­co cre­den­te – dice a ques­to rigu­ar­do l’a­utri­ce – ma ave­va un gran­de rap­por­to con il sacro e con il mis­te­ro, con tut­to ciò che va al di là del­la con­tin­gen­za. Non ho fat­to cen­su­re su ques­to argo­men­to. Credo che in ogni per­so­na esis­ta­no del­le zone segre­te, che non è nece­ssa­rio conos­ce­re e che bisog­na saper rispettare”.

Sono tan­ti, in ques­to libro, gli aspet­ti che affas­ci­na­no i let­to­ri e la cri­ti­ca. Tante le aper­tu­re inter­pre­ta­ti­ve offer­te.  “Vorrei coinvol­ge­re i let­to­ri nel­le doman­de, non nel­le ris­pos­te. Soprattutto vor­rei che si leg­ge­sse di più su Pasolini e ci si foca­li­zza­sse meno sul per­so­nag­gio. Lui è sta­to pri­ma di tut­to un poeta. Oggi “Pasolini mar­ti­re” è diven­ta­to un ele­men­to sim­bo­li­co di cui mol­ti si sono appro­pri­ati. D’altra par­te il mar­ti­rio fa par­te del­la nos­tra sacralità”.

Dacia Maraini, cla­sse 1936, è una del­le fir­me più auto­re­vo­li del­la nar­ra­ti­va ita­li­ana. Figlia di un antro­po­lo­go, dopo un’in­fan­zia tras­cor­sa in par­te in Giappone duran­te la guer­ra, esor­dis­ce negli anni Sessanta come voce ori­gi­na­le e indi­pen­den­te del­la let­te­ra­tu­ra italiana.

Le sono sta­ti asseg­na­ti alcu­ni dei pre­mi let­te­ra­ri più pres­ti­gi­osi del pano­ra­ma ita­li­ano e inter­na­zi­ona­le: il “Premio Formentor” nel 1963 per L’età del male­sse­re, il “Premio Fregene” nel 1985 per Isolina, il “Premio Campiello” e il “Libro dell’Anno” nel 1990 con La lun­ga vita di Marianna Ucrìa, fino al “Premio Strega”, vin­to nel 1999 con BuioOggi Dacia Maraini res­ta una voce cen­tra­le del dibat­ti­to cul­tu­ra­le ita­li­ano. Attenta al pre­sen­te e tes­ti­mo­ne del­le sfi­de e del­le bat­ta­glie del­le don­ne, con­ti­nua a esse­re un pun­to di rife­ri­men­to per tut­te le generazioni.