Intervista all’autore Francesco Veltri

08.02.2021.

“Il mediano di Mauthausen” – una storia che andava raccontata

• Vittorio Staccione – figlio di ope­rai, un’infanzia alla peri­fe­ria di Torino – ha fin da pic­co­lo una gran­de passi­one per il cal­cio e un talen­to che non passa ino­sser­va­to. Si accor­ge di lui Bachmann, lo sto­ri­co capi­ta­no del Torino, che lo inse­ris­ce, appe­na quin­di­cen­ne, nel viva­io gra­na­ta. Da lì la sua asce­sa spor­ti­va, fino alla serie A e allo scu­det­to. A vent’anni è un cal­ci­ato­re ama­to ed apprezzato.

La sua pote­va esse­re la sto­ria di un successo.

Ma siamo nell’Italia degli anni ‘20 e ‘30.

Fare il cen­tro­cam­pis­ta non sig­ni­fi­ca diven­ta­re ric­c­hi e Vittorio, peral­tro già seg­na­to da una tra­ge­dia fami­li­are, una vol­ta abban­do­na­ti gli sta­di, ritor­na a fare l’operaio, il tornitore.

Sono gli anni del­le lot­te soci­ali per i dirit­ti dei lavo­ra­to­ri e lui, soci­alis­ta, non può nas­con­de­re la sua oppo­si­zi­one al regi­me. Staccione è tal­men­te invi­so al fas­ci­smo che nel­le cro­nac­he spor­ti­ve dell’epoca non viene mai chi­ama­to col suo nome, solo gioca­to­re X.

Non ha anco­ra 40 anni quan­do viene depor­ta­to a Mauthausen come pri­gi­oni­ero politico.

Il libro di Francesco Veltri, “Il medi­ano di Mauthausen” edi­to da Diarkos Edizioni, si apre con un’immagine dram­ma­ti­ca: quel­la di un uomo stre­ma­to dal­la fame e dal­le feri­te, cos­tret­to dal­le SS a scen­de­re in cam­po anco­ra una vol­ta. Da medi­ano, come sem­pre. Ma il cam­po non è quel­lo di uno sta­dio e l’uniforme che indo­ssa non è quel­la del Torino o del­la Fiorentina.

“Lasciali anda­re i ricor­di, las­ci­ali lì – si dice – che tan­to qual­cu­no pri­ma o poi li ritro­ve­rà e pro­ve­rà a imma­gi­nar­li e a rac­con­tar­li con i tuoi occ­hi”. Veltri, gior­na­lis­ta e scrit­to­re cosen­ti­no, li rac­con­ta con sen­si­bi­lità e reali­smo, res­ti­tu­en­do alla memo­ria col­let­ti­va una sto­ria da poc­hi conosciuta.

Perché hai scel­to di scri­ve­re la sto­ria di Vittorio Staccione?

- Ho sco­per­to Vittorio Staccione qual­c­he anno fa e ho ini­zi­ato subi­to a fare ricer­c­he sul­la sua vita. Ricordo che rima­si col­pi­to dal fat­to che un cal­ci­ato­re che ave­va gioca­to nel­la squ­adra del­la mia cit­tà, il Cosenza, fosse mor­to in un cam­po di con­cen­tra­men­to nazis­ta. Col tem­po ho tro­va­to nume­ro­se infor­ma­zi­oni e docu­men­ti tra Archivi di Stato, bibli­otec­he e arti­co­li di gior­na­le e rivis­te dell’epoca. Andando avan­ti nel­le ricer­c­he, mi sono reso con­to di ave­re tra le mani una sto­ria uni­ca che anda­va rac­con­ta­ta. Nessuno ave­va scrit­to un libro su Vittorio Staccione. Nessuno, fino a quel momen­to, lo ave­va fat­to in mani­era appro­fon­di­ta e vole­vo che più per­so­ne possi­bi­li conos­ce­sse­ro ques­to pic­co­lo gran­de uomo. Lo slan­cio deci­si­vo nel­la reali­zza­zi­one del libro è arri­va­to quan­do sono entra­to in con­tat­to con Federico Molinario, pro­ni­po­te di Staccione. Grazie al suo gene­ro­so sos­teg­no e alla sua dis­po­ni­bi­lità anc­he nell’aprirmi lo scrig­no dei ricor­di di fami­glia, ho reali­zza­to il mio progetto.

Sulla base di quali tes­ti­mo­ni­an­ze hai ricos­tru­ito la sua vita, soprat­tut­to la des­cri­zi­one di alcu­ni avve­ni­men­ti nel cam­po di Mauthasen?

- Oltre al sup­por­to deter­mi­nan­te del­la fami­glia, ho rac­col­to infor­ma­zi­oni tra Archivi di Stato, bibli­otec­he, musei e Istituti sto­ri­ci del­la Resistenza del­le cit­tà in cui Vittorio ha gioca­to. Ma, gius­to per citar­ne alcu­ni, non dimen­ti­co il con­tri­bu­to di Pierluigi Torresani del Panathlon Cremona e del par­ti­gi­ano e scul­to­re Mario Coppetti, l’ultima per­so­na ad aver vis­to gioca­re Staccione, è mor­to nel 2018 a 104 anni. Inoltre, sono rius­ci­to a ricos­tru­ire, con non poca fati­ca, l’ultimo anno di vita di Vittorio a Mauthausen gra­zie alle tes­ti­mo­ni­an­ze dei soprav­vi­ssu­ti rac­col­te dall’Archivio del­la depor­ta­zi­one piemon­te­se intor­no agli anni ’80. I loro ter­ri­bi­li ricor­di mi han­no per­me­sso di rac­con­ta­re più o meno fedel­men­te i movi­men­ti di Staccione tra Mauthausen e il sot­to­cam­po di Gusen, com­pre­sa quel­la male­det­ta par­ti­ta che fu cos­tret­to a dis­pu­ta­re nel novem­bre del 1944 insi­eme ai sol­da­ti tedes­c­hi. Pesava poco più di 40 chi­li e si può solo imma­gi­na­re quali pen­si­eri possa­no esser­gli passa­ti per la tes­ta in quei momenti.

Una sto­ria dura da rac­con­ta­re. Quali sono sta­ti i momen­ti più dif­fi­ci­li e sof­fer­ti nel­la ste­su­ra del libro?

- Senza dub­bio il capi­to­lo fina­le, quel­lo del­la depor­ta­zi­one e dei mesi tras­cor­si da Staccione nel cam­po di con­cen­tra­men­to, è sta­to il più dif­fi­ci­le da des­cri­ve­re. Anche se ormai si conos­ce quasi tut­to di quei luog­hi e di quel peri­odo sto­ri­co, è impo­ssi­bi­le non pro­va­re del­le emo­zi­oni for­ti di fron­te a cer­ti det­ta­gli tan­to cru­de­li. Se quel­le sto­rie e quel mon­do, anco­ra oggi, con­ti­nu­ano a stu­pir­ci e a far­ci male, è per­c­hé non smet­to­no di ricor­dar­ci quan­ta disu­ma­nità può nas­con­der­si nel gene­re uma­no. Raccontando Vittorio ho pro­va­to anc­he tan­ta rab­bia. Ho cer­ca­to di met­ter­mi nei suoi pan­ni e ho sco­per­to un uomo umi­le e corag­gi­oso, un giova­ne che ha paga­to a caro pre­zzo la sua inge­nua voglia di liber­tà. Pensava che fosse gius­to oppor­si al giogo nazi­fas­cis­ta, sen­za bada­re trop­po alle conseguenze.

Un aspet­to su cui hai pos­to l’accento nel des­cri­ve­re la figu­ra di Staccione è la sua fer­rea coeren­za ide­olo­gi­ca. Se ave­sse accet­ta­to di anda­re in Germania a lavo­ra­re si sareb­be salvato…

- Nel cor­so del­la sua bre­ve vita, Vittorio Staccione ha sem­pre sapu­to da che par­te sta­re. Non ha mai avu­to dub­bi, anc­he quan­do, a Firenze, guadag­na­va bene ed era con­si­de­ra­to una stel­la nas­cen­te del cal­cio ita­li­ano, non ha mai tra­di­to i suoi ide­ali e le sue umi­li ori­gi­ni. Più veni­va per­co­sso, inti­mi­di­to, umi­li­ato e arres­ta­to, più la sua dig­nità acqu­isi­va ener­gia. Molti suoi com­pag­ni e ami­ci gli con­si­gli­ava­no di las­ci­ar per­de­re la poli­ti­ca e di con­cen­trar­si solo sul cal­cio, in ques­to modo avreb­be avu­to una car­ri­era più lun­ga e di cer­to migli­ore. Soprattutto, non sareb­be mor­to a 40 anni. Ma lui non ha mai fat­to passi indi­etro. Di fron­te alla possi­bi­lità offer­ta­gli impli­ci­ta­men­te dal Commissario di Madonna di Campagna di fug­gi­re per evi­ta­re la depor­ta­zi­one, è rimas­to fede­le a ste­sso. Una scel­ta inge­nua? Può dar­si. O for­se, sem­pli­ce­men­te, è sem­pre sta­to convin­to di poter dimos­tra­re la sua inno­cen­za. Credeva in un mon­do che non esisteva.

Quali altri messag­gi ci affi­da la sto­ria di Vittorio Staccione?

- La sto­ria di Vittorio Staccione è la foto­gra­fia di un peri­odo dram­ma­ti­co del nos­tro Paese, sia da un pun­to di vis­ta poli­ti­co che soci­ale. È la sto­ria di un raga­zzo sem­pli­ce e al tem­po ste­sso sicu­ro dei pro­pri valo­ri e del­le pro­prie idee. Il suo esem­pio cre­do possa aiuta­re a com­pren­de­re meglio cosa può sig­ni­fi­ca­re oggi avvi­ci­nar­si a cer­te ide­olo­gie mol­to simi­li a quel­le del passa­to, basa­te sull’odio e sul­la paura dell’altro.

Alla memo­ria di Vittorio Staccione sono sta­te dedi­ca­te due pietre d’inciampo, entram­be col­lo­ca­te a Torino. “Il medi­ano di Mauthausen” nel 2020 ha rice­vu­to dall’ANPI di Cosenza il pre­mio “Camminiamo Insieme”.

Testo di Luisa SORBONE