A colloquio con Tanino Liberatore: Ranxerox, un cyborg oltreconfine

Testo e fotografije di Luisa SORBONE

05.12.2024

Tanino Liberatore è una del­le figu­re più inte­re­ssan­ti nel pano­ra­ma ita­li­ano del­la let­te­ra­tu­ra del fumet­to. Artista indi­pen­den­te e lon­ta­no dal­le conven­zi­oni, secon­do ospi­te ita­li­ano del­la Fiera del libro, si è pre­sen­ta­to al pub­bli­co mar­tedì 3 dicem­bre in dialo­go con Andrea Matošević affi­an­ca­to dal­la tra­dut­tri­ce Iva Grgić Maroević. Lo ste­sso gior­no, alle 21, pre­sso la Galleria Civica di Pola, l’i­na­ugu­ra­zi­one del­la mos­tra che rac­co­glie alcu­ne del­le ope­re più rap­pre­sen­ta­ti­ve del suo per­cor­so artistico.

Gli ini­zi come illus­tra­to­re del­le coper­ti­ne di dis­c­hi per la RCA, dal ’75 al ’78, per ren­der­si eco­no­mi­ca­men­te indi­pen­den­te. Qualche pub­bli­cità. Poi la svol­ta deci­si­va gra­zie all’in­con­tro a Roma con Stefano Tamburini, scrit­to­re e sce­neg­gi­ato­re. Dalla col­la­bo­ra­zi­one con Tamburini e Andrea Pazienza nas­ce “Ranxerox”, accol­ta come una del­le grap­hic novel più sig­ni­fi­ca­ti­ve degli anni ’80. La serie, debut­ta nel 1983 sul­la rivis­ta “Frigidaire”, uno dei peri­odi­ci ita­li­ani inno­va­ti­vi di cul­tu­ra under­gro­und. Il per­so­nag­gio di Ranxerox è un cyborg nato dal­l’a­ssem­blag­gio dei pezzi di una foto­co­pi­atri­ce, appun­to Ranx Xerox. Tratteggiato con un seg­no gra­fi­co fat­to di movi­men­to e di un reali­smo ana­to­mi­co che ric­hi­ama la pit­tu­ra cinqu­ecen­tes­ca di Michelangelo, diven­ta imme­di­ata­men­te ico­na di un movi­men­to cul­tu­ra­le di quegli anni.

Tanino, nel­la gene­si del per­so­nag­gio Ranxerox quan­to c’è di istin­ti­vo e quan­to di voluto?

Era lo spec­c­hio di tut­to ciò che Stefano ed io vive­va­mo a Roma quoti­di­ana­men­te, usci­va dal vissu­to non era volu­to nel sen­so di deci­so “a tavo­li­no”. Al tem­po ste­sso era un momen­to di diver­ti­men­to, aspet­to fon­da­men­ta­le per cre­are cose buone.

Rispetto al pri­mo Ranxerox, quel­lo ide­ato da Stefano Tamburini, il tuo per­so­nag­gio ha assun­to del­le carat­te­ris­tic­he este­tic­he un po’ diver­se. Come è cambiato?

Il pri­mo Ranxerox era in bian­co e nero, su una car­ta non ecce­zi­ona­le, ed era usci­to su una rivis­ta che si chi­ama­va “Cannibale”, una fan­zi­ne evo­lu­ta. Quando poi si è pen­sa­to di fare “Frigidaire”, una rivis­ta a colo­ri, mol­to più gla­mo­ur con con­te­nu­ti inno­va­ti­vi soci­ali, artis­ti­ci e sati­ri­ci a cui col­la­bo­ra­va­no artis­ti ita­li­ani inter­na­zi­ona­li, Stefano, che era una per­so­na mol­to intel­li­gen­te ed era alla base del­la rivis­ta e del per­so­nag­gio, ha cre­du­to oppor­tu­no tro­va­re qual­cu­no che sape­sse diseg­na­re meglio di lui e usa­re il colo­re. Ha chi­es­to a me – già col­la­bo­ra­va­mo – ed è sta­to faci­li­ssi­mo con­ti­nu­are con Ranxerox.

Non è sem­pre faci­le il rap­por­to tra per­so­nag­gi dota­ti di talen­to. Come è anda­ta con Tamburini e Pazienza?

Bene. Andrea Pazienza ed io lavo­ra­va­mo per la ste­ssa rivis­ta ma ognu­no face­va il suo lavo­ro. È sta­to lui a intro­dur­mi agli altri, si è cre­ata un’in­te­sa natu­ra­le. Con Stefano (Tamburini) non c’è mai sta­to un diver­bio, for­se a vol­te del­le incom­pren­si­oni dovu­te al fat­to che la stam­pa fran­ce­se con­ti­nu­ava ad attri­bu­ir­mi la pater­nità di Ranxerox. Era come se vole­ssi pren­der­mi io tut­to il meri­to. Io repli­ca­vo sem­pre che, anzic­hé il padre, ero tut­t’al più lo zio del per­so­nag­gio. Ma su ques­to ci siamo chi­ari­ti e poi lui è man­ca­to giovanissimo.

Ranxerox è appar­so per la pri­ma vol­ta su “Cannibale”, un fan­zi­ne indi­pen­den­te. Poi su “Il Male” e suc­ce­ssi­va­men­te su “Frigidaire”. Quanto di poli­ti­co c’e­ra nel personaggio?

Di poli­ti­co c’e­ra la poli­ti­ca dei tem­pi. In quel­le tes­ta­te lavo­ra­va­no per­so­ne pro­ve­ni­en­ti dal­l’es­tre­ma sinis­tra ma nessu­no di loro pen­sa­va di rap­pre­sen­ta­re un par­ti­to. L’obiettivo era quel­lo di diver­tir­si e dare schi­af­fi in fac­cia alla poli­ti­ca di quei tem­pi. “Frigidaire” era nata per par­la­re di cose di cui gli altri non par­la­va­no, tan­to che ave­va come slo­gan “il super­fluo indis­pen­sa­bi­le”. È sta­ta la pri­ma rivis­ta in Europa a par­la­re di AIDS. La for­mu­la era buona ma non c’e­ra­no le con­di­zi­oni per garan­ti­re una buona qualità di usci­te men­si­li, soprat­tut­to nel fumetto.

Si può sos­te­ne­re che Ranxerox si iden­ti­fi­ca con un gene­re di espre­ssi­one artis­ti­ca estra­nea a con­di­zi­ona­men­ti ide­olo­gi­ci e che di fat­to era tra­sver­sa­le a ogni tipo di cor­ren­te politica?

Si, quan­do l’ho sapu­to mi sono mera­vi­gli­ato. Ma nem­me­no quel­li de “Il Male” ave­va­no più ques­ta reto­ri­ca, era­va­mo tut­ti disgus­ta­ti da tutto.

Ranxerox sta per esse­re pub­bli­ca­to in Corea. Quali sono gli aspet­ti di moder­nità che lo ren­do­no anco­ra oggi interessante?

La Corea è una via di mezzo tra l’Occidente e il Giappone. Non so esat­ta­men­te quali siano le moti­va­zi­oni, las­cio il lavo­ro ai cri­ti­ci. Posso dire che Ranxerox è nato in un’e­po­ca che, in qual­c­he modo, si sta ricos­tru­en­do ai gior­ni nos­tri. Un giova­ne che lo leg­ge oggi non lo tro­va poi così vec­c­hio, for­se l’u­ni­ca cosa che man­ca nel fumet­to è il tele­fo­no cel­lu­la­re per­c­hé a quei tem­pi anco­ra non esis­te­va, il massi­mo del­la moder­nità era rap­pre­sen­ta­ta dal fax. È ciò che rap­pre­sen­ta che lo ren­de attu­ale, i pro­ble­mi soci­ali si stan­no ripre­sen­tan­do come suc­ce­de cicli­ca­men­te. Quindi, alla fine, è il fat­to che ci tro­vi­amo in un sis­te­ma un po’ repre­ssi­vo a ren­der­lo così attuale.

Entrando nel meri­to del­le carat­te­ris­tic­he del per­so­nag­gio, Ranxerox è sta­to defi­ni­to da alcu­ni cri­ti­ci “un coat­to ciber­ne­ti­co più uma­no dell’umano”. In cosa con­sis­te la sua umanità?

Rappresenta l’u­omo, ha sen­ti­men­ti uma­ni, ma essen­do un robot è pro­gram­ma­bi­le. Il per­so­nag­gio più duro del fumet­to non è lui, ma è la pic­co­la Lubna.

A pro­po­si­to di Lubna, oggi non sareb­be possi­bi­le una figu­ra come la sua, sareb­be censurata.

È vero. Ma a quel­l’e­po­ca tra le cri­tic­he che il fumet­to ha rice­vu­to, poc­he a dire il vero, c’e­ra­no quel­le sul­la violen­za, sul­la dro­ga, ma mai sul sos­pet­to di possi­bi­le pedo­fi­lia. Lubna non veni­va per­ce­pi­ta come una cosa mal­sa­na dal­la soci­età di allo­ra, anc­he per­c­hé era lei a coman­da­re e a fare cose assur­de agli altri. No, oggi non lo potrem­mo pubblicare.

Chi è oggi Tanino Liberatore?

È un diseg­na­to­re. Al limi­te un foto­gra­fo, ma non un regis­ta. Il fumet­to ha rap­pre­sen­ta­to una paren­te­si, che, ammet­to, ha avu­to un gran­de suc­ce­sso, non è mai sta­to la for­ma di espre­ssi­one a me con­ge­ni­ale. Ho fat­to tre Ranxerox, una rac­col­ta di sto­rie bre­vi e poi Lucy nel 2007, ma è il diseg­no il mio lin­gu­ag­gio natu­ra­le. Cosa pen­so del mon­do del­l’ar­te odi­er­no? Sono diven­ta­to piut­tos­to reazi­ona­rio, spe­sso disgus­ta­to da mol­te cose che vedo in giro, soprat­tut­to dal­le ins­tal­la­zi­oni: sono del­le sce­no­gra­fie non sono quadri. Il mio mon­do è anco­ra quel­lo lega­to al Rinascimento italiano.